Testamento biologico Meglio nessuna legge piuttosto che una come questa di Antonio Del Pennino Il progetto di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico, approdato nell’Aula di Montecitorio, riproduce sostanzialmente il testo approvato dal Senato e proposto dal sen. Calabrò. Si tratta di un articolato su cui avevamo già espresso il nostro giudizio negativo, ma che riteniamo di dovere oggi ribadire con particolare rigore. Un primo punto: i sen. Calabrò, Gasparri e Quagliarello, in un recente articolo sul "Corriere della Sera", hanno affermato che la formulazione adottata, che non considera vincolanti le dichiarazioni anticipate, ma lascia al medico la decisione se attenervisi o no, anche contro il parere del fiduciario, deriva dal fatto che "una scelta datata, in virtù di eventuali cambiamenti scientifici, si rivelerebbe cieca e sorda ai progressi della tecnica e della medicina." Ma se il problema sta nei termini che gli illustri parlamentari descrivono, vorremmo sapere perché si è adottata una formula che vanifica completamente il valore delle dichiarazioni anticipate e non si è, invece, ripresa quella accolta all’unanimità dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato nella XIV legislatura ed oggi contenuta nella proposta di legge presentata alla Camera dall’on. Della Vedova e sottoscritta anche dal segretario del Pri on. Nucara. Essa infatti prevede: "Le direttive contenute nella dichiarazione anticipata di trattamento sono impegnative per le scelte sanitarie del medico il quale può disattenderle solo quando non più corrispondenti a quanto l’interessato aveva espressamente previsto al momento della redazione delle D.A.T: sulla base degli sviluppi delle conoscenze scientifiche e terapeutiche, e indicando compiutamente le motivazioni della decisione nella cartella clinica". O si ritorna a quel testo, o le affermazioni di Calabrò, Gasparri e Quagliarello si rivelano bugie con le gambe corte. Secondo punto. La proposta all’esame alla Camera afferma che alimentazione e idratazione artificiali non possono essere oggetto delle dichiarazioni anticipate, perché non sono trattamenti medici. A parte il fatto che la maggioranza degli auditi nel corso delle udienze conoscitive tenute al Senato nella XV legislatura ha espresso un parere differente, un’affermazione apodittica di questo tipo, senza nessuna distinzione tra idratazione e alimentazione e che vincola il paziente anche a trattamenti che comportano la perforazione dell’addome, senza consenso, appare una violazione dell’art. 32 della Costituzione. Terzo. Il testo proposto prevede che i casi di eutanasia siano puniti non solo ai sensi degli artt. 579 e 580 del Codice Penale (omicidio del consenziente e aiuto al suicidio), ma anche ai sensi dell’art. 575 (omicidio volontario), che comporta una pena assai più elevata. Non si offrirebbe così alla magistratura, di cui si paventano sempre le interferenze, la possibilità di perseguire indiscriminatamente qualunque attività, non solo quella volta a determinare la morte tramite farmaci letali, ma anche quella in cui il medico non compie interventi diretti a mantenere in vita un malato terminale? Contraddicendo, persino, gli insegnamenti di Paolo VI, per il quale "il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di prolungare più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e condizione, una vita che non è più pienamente umana e che volge verso il suo epilogo". Se questi sono i nodi del testo in esame alla Camera e non verranno sciolti, pur avendo sostenuto la necessità di una legge in materia, dobbiamo oggi convenire con Angelo Panebianco, Marcello Pera e, da ultimi, Umberto Veronesi, Giuliano Ferrara e Sandro Bondi che è meglio non fare alcuna legge. |